Contro le grandi opere dannose per l’ambiente e la collettività, che incidono negativamente sulla salute di cittadini e cittadine portando profitto a pochi. Per il potenziamento del trasporto pubblico e una mobilità sostenibile.

Uno dei nodi cruciali che dovrà affrontare la prossima giunta comunale della città sarà quello urbanistico. Stiamo parlando, ad esempio, delle numerose aree dismesse, aree che contribuiscono a dimostrare un consumo di territorio scellerato e l’assoluta mancanza di un’idea di città, di una visione strategica sul futuro di Trento.

Le ipotesi possono essere molteplici e tutte richiedono un segno di discontinuità con il recente passato: queste dovranno esser poste sul tavolo, discusse e condivise su basi popolari e non solo negli uffici comunali o nei corridoi di Palazzo Thun. Pensiamo, ad esempio, alle aree ex Sloi e Carbochimica, bloccate da 50 anni per le note ragioni di inquinamento dei terreni, allo scalo Filzi, condizionato dall’eterno discorso sull’interramento della Ferrovia e della Stazione, a loro volta bloccati dai progetti di Alta Velocità delle merci e quindi con tempi biblici di realizzazione.

Ma anche all’area ex Atesina in Via Marconi, pure quella vuota da molti anni; all’ex questura e Piazza della Mostra, in pieno centro storico, punto nevralgico per quanto riguarda la circolazione tra la collina e le aree vicino al fiume e la complessa relazione storica tra Castello, la cortina edilizia della Contrada Tedesca e le Scuole Sanzio, o all’area stadio, che attualmente si pone come elemento di “spreco urbano” in un’area di ricucitura delicata tra Adige, Palazzo delle Albere, Muse, Piazzale Sanseverino e Centro Storico, alle aree Militari dismesse, alle ex Cantine Girelli.

La stessa sorte di abbandono che ha coinvolto l’Hotel Sardagna/Centro Congressi (che nel passato avrebbe dovuto essere un biglietto da visita per la città e che è miseramente naufragato dopo pochi anni dall’investimento cospicuo)  subirà, a meno di un cambiamento di rotta politico, il quartiere delle Albere, occasione perduta per il recupero del rapporto fisico ed urbanistico tra il fiume Adige e la città ed esempio di quartiere fantasma in mano all’imprenditoria privata, che agli interessi della città antepone i propri profitti, “derubando” i cittadini di vaste aree urbane.

Infine, siamo fortemente critici verso il progetto del collegamento funiviario con il Monte Bondone sul quale, nonostante pagine e pagine di analisi, linee guida, “agende” e masterplan, non si vedono business plan attendibili che ci convincano del fatto che questa opera serva effettivamente al rilancio turistico della città. Gli eventi legati alla pandemia e il suo possibile ripetersi, uniti alla difficoltà di reperimento idrico per l’innevamento artificiale, ormai ineludibile d’ora in avanti per le stazioni sciistiche sotto i 2000 m, dovrebbero suggerire maggiore cautela in tale investimento che, per essere efficace, come risulta dalla “Agenda Strategica Sistema Bondone 2035, dovrebbe funzionare anche indipendentemente dalla pratica dello sci alpino. Ma al di fuori di questa pratica sportiva il Bondone deve essere completamente reinventato, a causa della assoluta mancanza di altre attrattività (nessun centro abitato, nessun servizio pubblico, presenza di case e alberghi pressoché inutilizzati…). Un processo lungo e impegnativo che richiederà decenni e sul quale incombe sempre la propensione alla scarsa qualità realizzativa locale rispetto ai modelli di riferimento dell’area altoatesina e austriaca. A questo proposito vengono citati spesso gli esempi di Bolzano/Renon e di Innsbruck/Nordketten i quali, secondo noi, non sono affatto calzanti: Renon è un comune amministrativo a parte rispetto a Bolzano, con 8000 residenti stabili divisi in 14 centri abitati, una storia secolare di area di collegamento tra Italia e Germania (lungo la Via Imperiale e prima dell’“apertura” della Val d’Isarco), due aziende internazionali, uno stadio del ghiaccio con due squadre di hockey, un pattinodromo per gare internazionali di pattinaggio, un lago naturale, due rovine di castelli, una ferrovia storica fino a Soprabolzano… cosa ben diversa dalla realtà del Monte Bondone!

In secondo luogo, la funivia per turisti ad alta capacità di spesa di Innsbruck ha le stazioni dei vari tronchi progettate da un’archistar (Zaha Hadid) che da sole potrebbero valer la visita se si fosse disposti a pagare i 38 euro per salire e scendere, tenendo anche presente che è utilizzata per visitare un “riprovevole” zoo alpino e che in quota si arriva ad una cima paragonabile al Palon (e non a Vason) dove è stato costruito un grande ristorante panoramico precluso alle possibilità economiche di molti.

Il rischio reale è quindi quello della costruzione di una “cattedrale nel deserto” sottoutilizzata o utilizzabile a costi molto alti: una soluzione che non permette ripensamenti, che potrebbe essere messa in crisi da qualsiasi evento imponderabile (dai fulmini, come in questi giorni è capitato per la seggiovia del Palon che rimarrà chiusa assieme alla Capanna Palon per parecchi mesi, ad una nuova chiusura per pandemia) e che determinerebbe un’altra serie di infrastrutturazioni pesanti a causa delle quali, paradossalmente, gli stessi pochi alberghi presenti potrebbero ricevere il colpo di grazia, in quanto risulterebbero più appetibili gli hotel di città raggiungibili senza macchina in una manciata di minuti.

Un’opera che, trascurando l’unica e ridotta concentrazione di residenti di Candriai, obbliga da una parte a rimodulare la classica offerta di trasporto su gomma (e che quindi non scomparirà come sostengono i “neoambientalisti” dell’ultima ora che la propongono) e dall’altra non chiarisce come verranno utilizzate le altre 4 strade di accesso dai vari versanti, obbligando chi le utilizza (Valle dei laghi, Cadine, Sopramonte, Aldeno, Garniga) ad intasare ulteriormente la mal risolta zona di partenza (ex Italcementi) e a spendere fino a sei volte di più rispetto all’utilizzo della propria automobile.

Spese di utilizzo individuale di cui non è stato ancora chiarito l’ammontare: secondo Trentino Sviluppo si aggirerebbero sui 17 euro per la sola andata, cifra che non pare essere assolutamente concorrenziale. Ma anche nell’ipotesi di una riduzione del costo del biglietto a cifre più popolari (inasprendo invece sui turisti considerati “polli da spennare” la tariffa di utilizzo…), non si sposta il problema rispetto ad una idea turistica di fondo inadeguata alle sfide del futuro.

Insomma, una Grande Opera che comporta a cascata una miriade di interventi sul Bondone, sia da parte dei privati (assumendosi la propria parte di investimento a prescindere dalla Funivia) sia da parte dell’Ente pubblico, attirando capitali ed energie che in questa fase storica dovrebbero essere investite, a nostro parere, nel recupero delle fin troppe aree dismesse e nodi irrisolti della città.